Mostra n. 127
TITOLO: LUXURY
ARTISTI: RHONDA ZWILLINGER – ARCH CONNELLY – ANDREA BIANCONI
A CURA DI: LUIGI MENEGHELLI
PERIODO: 8 APRILE – 30 GIUGNO 2017
SEDE ESPOSIZIONE: LA GIARINA ARTE CONTEMPORANEA, VERONA
Orario: dal martedì al sabato 15.30-19.30 (E su appuntamento)
“Guardo fuori dal mio studio e vedo tutti i tabelloni luminosi, vedo la porta di un ‘Sexy Shop’ fatta a forma di serratura enorme: questa è New York, questa è la nostra storia dell’arte”. Così in un’intervista Arch Connelly (Chicago, 1950; New York, 1993). Erano i frenetici anni ‘80 dell’Est Village, gli anni in cui l’artista si lasciava trapassare dagli eventi e dalle cose e insieme si prolungava e coesisteva con essi. “Essere ovunque nel mondo e avere il mondo dentro di sé”, era un altro degli slogan del tempo. Nessun divieto, nessuna tecnica privilegiata, ma solo un flusso caotico di immagini che si inseguono, di oggetti che diventano una vera espansione epidermica del soggetto, un prolungamento sensoriale del suo corpo nel mondo.
Così gli specchi, i tondi, le cornici di Connelly appaiono come inondati da una marea di elementi superflui e gratuiti come strass, perle finte, ricami, residui materici argentati, che trasformano e stravolgono ogni idea di funzione e uso. A contare sembra che sia l’iperdecorazione, l’espressione dell’artificio: una sorta di visione infantile e giocosa della realtà.
Anche il lavoro di Rhonda Zwillinger (New York, 1950) si fonda sull’eccesso di un ornamento che dilaga, fino a riempire tutto, a sommergere ogni oggetto come una schiuma avvolgente e abbagliante. Ma mentre Connelly rimane legato alla bidimensionalità della parete, il bizzarro mondo della Zwillinger (attualmente in mostra al Museum Boijmans di Rotterdam) si appropria dello spazio, lo trascina nel suo sogno eccentrico e romantico. È un’opera composta da borsette e scarpe, da pareti decorate con motivi floreali, da tavolinetti con piedestallo a tortiglione, da quadri con una pittura psichedelica che spesso replica motivi della Storia delle Immagini. Le perline di vetro, le paillettes, le palline di plastica che ricoprono ogni elemento compiono un’operazione anticlassica, con l’intento di degradare i valori “alti” dell’Arte in favore della banalità di massa. Ma di quest’arte che sta tra denuncia e kitsch, tra critica e irrisione, cosa è rimasto dopo trent’anni? Rivederla è ripercorrere utopie sveltamente seppellite o scoprire quanto di quest’ultima festa visiva rimane ancora di inespresso?
Non è un caso che un artista come Andrea Bianconi (Vicenza, 1974) abbia ripreso in mano valigie ricolme di lustrini e di piccoli oggetti d’antan o maschere ricoperte di borchie, perle e spaghi. Egli ama cambiare continuamente la struttura dell’opera, disfarla tra le mani, moltiplicarla, dilatarla fino a farla diventare inafferrabile. Allora l’opulenza, il lusso (il “Luxury” del titolo), può trasformarsi in passione conoscitiva, in raccolta di frammenti, in romantica collezione delle cose della vita. Può diventare un modo per abbigliare il mondo, utilizzando proprio gli oggetti che il mondo stesso ha perduto o dimenticato.