B.O.M.A.R. UNIVERSE

Mostra n. 116
ARTISTA: MARCO BOLOGNESI
A CURA DI: VALERIO DEHO’
PERIODO
: 6 OTTOBRE – 19 GENNAIO 2012

Bolognesi costruisce un suo mondo a parte, si chiama B.O.M.A.R. UNIVERSE come sintesi del suo nome, e non è un caso o un eccesso di narcisismo. Lui crede veramente che lo “spazio interno” quella parte di universo che costituisce il nostro paesaggio interiore, abbia o trovi occasioni per traboccare e costruire un mondo esterno, globale, in cui il dentro e il fuori sono la stessa cosa. Marco Bolognesi sembra aderire ad un’ estetica cyber punk, è amico di Bruce Sterling, ma ha anche lavorato con Vivienne Westwood a Londra. Sa che la pelle è importante. E’ tutto una questione di gestire le apparenze, molteplici, che vogliamo indossare. Finiamo per essere quello che vediamo e di adeguarci a come siamo visti. Tutto normale.

E’ un artista visivo, completamente visivo, le storie che racconta sono approcci per similitudine, assonanze, consonanze, riverberi e distorsioni. Appartiene mentalmente allo stream nato dalla mostra “Post Human” del 1991 di Jeffrey Deitch. Il suo lavoro fotografico, installativo o cinematografico parte e ritorna sempre al tema della pelle e del corpo. Probabilmente ci sono anche vicende personali che hanno determinato questa sua visione del mondo, ma la sua è soprattutto una scelta culturale. Saldare il passato al futuro, la carne ai transistor: in mezzo c’è sempre e soltanto il corpo. Questo può essere quello delle modelle nudo o modificato dalla tecnologia, c’è del sesso nascosto in ogni angolo del suo lavoro, c’è il bondage che attrae ma anche l’odore del cuio è visibile e percepibile. Un suo film del 2008 si chiama “Black Hole” e se il buco nero fosse De Sade, se il destino dell’uomo è alla fine quello di soffrire e godere nello stesso tempo?

Ma lui costruisce. In “Humanescape” del 2012 la serie di fotografie sono esattamente questo: un corpo nudo in un paesaggio infantile fatto di piccoli pupazzi e di strutture da meccano. Un gioco. Qualcosa che si può fare con le mani. E la stessa arte fotografica di Marco Bolognesi non ha simpatia per le miscele digitali. Preferisce lavorare con i set, con il trucco, con quella dimensione di una tecnologia che non è una scorciatoia ma sa ancora di sudore e fatica. Ancora il corpo, quindi, ma anche la messa in posa, il lungo operare per costruire un’immagine finale che solo il cinema rende apparentemente facile.

Bolognesi in questo ha ancora dentro quello stile di professionalità artigianale alla John Carpenter, il mitico regista di “Distretto 13” e di “Dark Star” oltre naturalmente di “1997: fuga da New York”. Proprio da “Dark star” l’artista ha preso il titolo per una mostra del 2009 a Parma, curata da Elena Forin, in cui veniva presentato il progetto Genesis: 12 light box e una colonna/ totem dentro la quale fluttuano volti tridimensionali di una nuova razza umana ibridata con le macchine. Ma il futuro per Bolognesi è intriso di primitivismo, di cultura pop, di derive fumettistiche oltre che di mille link alla cultura punk. In effetti, il suo interesse è centrato sul concetto di mutazione, sulla logica e la casualità delle trasformazioni che mettono in dubbio la biologia del cambiamento fisico e l’apertura a universi paralleli. Il corpo, quindi, ma anche le sue interazioni con gli universi del fetish, del cyborg, dell’immaginario cinematografico di Cronenberg e Burton o letterario che va da Phil K. Dick all’indimenticabile James G. Ballard di “Crash”. L’universo creato da Marco Bolognesi possiede tante sfumature, la stessa attenzione per la donna e il suo volto, deriva dalla sua attenzione per il cambiamento, il trucco, il cambiare personalità con un colore dei capelli o una linea attorno agli occhi. Il fascino verso il glamour deriva da questa sensibilità. Il resto sta proprio nell’evoluzione di una cultura narrativa di anticipazione in cui l’immagine dell’uomo e della macchina si fondono in un ibrido fluttuante, modificabile dalle circostanze e dalla tecnologia. Come in “Negromante” d William Gibson, il confine tra computer e l’uomo non sta più nelle terminazioni nervose ma nella memoria di un’altra epoca e di un altro corpo.

La cultura artistica e letteraria di Bolognesi, da anni residente a Londra, deriva dai personaggi e intellettuali che negli anni Ottanta e Novanta hanno annunciato un mondo nuovo, probabilmente non migliore di questo, ma forse meno monotono.